«Lauren Groff, 36 anni, vive in Florida, scrive per il New York times, il New Yorker e altri quotidiani americani. Arcadia è il suo secondo romanzo. L’ha scritto mentre aspettava il primo figlio per riprendersi da una crisi depressiva. Potere salvifico della scrittura.
Siamo alla fine degli anni Sessanta, una quarantina di beatnik, a bordo di camion (ricordate Jesus Christ superstar?), caravan, corvette e furgoncini, si ferma tra i boschi dello Stato di New York per ristrutturare una proprietà cadente e costruire il luogo dei loro sogni: Arcadia. Il posto dove avere finalmente una vita migliore. Ognuno contribuisce con quello che ha o che riesce a fare. È il racconto di un progetto a metà tra il credo dei padri fondatori americani, la negazione della proprietà privata, la libertà anarchica degli hippies. È la storia della nascita e della fine, tragica, di un sogno, raccontato dal punto di vista di un bambino, Briciola (tanto piccolo e leggero da meritarsi questo soprannome), il primo nato ad Arcadia.
Il racconto procede nella sua mente di bimbo (fino a 4 anni si rifiuta di parlare ma pensa come un adulto) alle prese con concetti più grandi di lui: libertà, giustizia, democrazia. Un legame fortissimo lo lega al padre Abe, ingegnere che fa il muratore, e alla madre Hanna, scappata da una famiglia ricca ad Arcadia per vivere meglio. Ma capisce che quello che vede ogni giorno non è ciò che voleva. Dimostra con una schizofrenia intermittente il suo disaccordo con le regole imposte da Handy, il leader (purtroppo tutte le comunità ne hanno uno), metà santone, metà Jimi Hendrix, più attento al suo tornaconto che a fondare il migliore dei mondi possibili.
Arcadia non sopravvive alla grettezza, all’egoismo, alle divisioni. Gli abitanti, ormai una folla rispetto ai fondatori, se ne vanno, ciascuno verso il proprio destino. Briciola, adolescente, viene gettato, senza più alcuna protezione nel mondo di fuori, a New York. E qui inizia la sua seconda vita. Da solo deve affrontare il lavoro, le delusioni, le relazioni. E la morte. Così dolce ad Arcadia, perché condivisa. Briciola accompagnerà la madre malata di Alzheimer fino all’ultimo respiro. E questo segnerà finalmente il suo passaggio all’età adulta. A 50 anni. Ritornato sui luoghi di Arcadia, non trova più nulla e pensa di aver sognato tutto. «Che importa», dice la figlia Grete, «basta che per te sia esistita veramente».
Arcadia è l’utopia?
Siamo esseri umani e rincorrere gli ideali è ciò che ci fa progredire avanti nella vita. Arcadia è anche la metafora dell’infanzia senza regole che bisogna abbandonare, con dolore, per crescere. Per andare verso il mondo e verso la morte. È quello che fa Briciola nei 58 anni della sua vita».
Ornella Ferrarini, Gioia (per continuare a leggere l’intervista, clicca QUI).
America, stato di New York, fine anni Sessanta. Un gruppo di giovani decide di fondare una comune basata suil’amicizia, la condivisione, l’amore e l’indipendenza dal denaro. La chiameranno Arcadia. Ed è qui che nasce Briciola, il primo dei molti figli che andranno a popolare un mondo bucolico e ricco solo di ideali, ben presto corrotti dalle difficoltà della convivenza. La fine della comune costringerà Briciola e il suo grande amore Helle, nati e cresciuti in un mondo popolato da sognatori, a misurarsi con il mondo reale, quello della New York degli anni Ottanta.
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